L’istinto del colore

GIORGIO GOST – L’ISTINTO DEL COLORE.- 2008

“E perché non guardare agli italiani?” così dev’essersi detto Gost qualche anno addietro, stanco del “pollockismo”, del “mondrianismo”, del “malevicismo”. . .
Nascono così alcuni quadri che qualcosa pagano a Rho, Radice, Veronesi, soprattutto nell’intento di inserire elementi di luminosità e “calore” sconosciuti all’asciutta, matematica ricerca dei mostri sacri suddetti. Si tratta di opere dense, forse più indirizzate verso l’ottenimento di un equilibrio cromatico che improntate alla “cattura” della luce, tuttavia in certi particolari riflessi e nel progressivo sporcarsi dei colori primari si avvertono una tensione e un’inquietudine che premono al di sotto dell’apparente ovvietà dei dipinti.
Credo che questa “atmosfera” percepibile ma non definibile razionalmente, abbia indotto Gost a definire “metafisica” la sua pittura, in aperta sfida al luogo comune che pretende una matrice realistica per le opere così denominate. E un fondo di legittimità sussiste, se è vero che l’artista parmense è riuscito nell’ardua impresa di inoculare il germe della “godibilità” in opere concepite in modo del tutto razionale, mai sfiorando il limite della banalizzazione, riuscendo al contempo a mantenersi lontano dall’uggiosa ripetitività che la ricerca spesso comporta.
La realizzazione di ogni quadro prevede lunghi tempi di esecuzione, ripensamenti, affinamenti costanti. Questa palestra consentirà all’artista di accantonare un patrimonio di conoscenze assai vasto e variegato, che ne decreterà la definitiva maturazione.
Il 2008, infatti, rappresenta l’anno della svolta. La nuova esigenza di Gost, fatte proprie le caleidoscopiche magie della luce e del colore, risiede in una gestualità più libera, immediata, capace di seguire l’intuizione fuggevole del momento più che dar corpo alla meditazione e all’approfondimento delle tematiche indagate. Ancora il suo sguardo si rivolge a Turcato, Corpora, Afro, Tancredi, nel tentativo di giungere ad una sintesi che privilegi comunque la linea “italiana” dell’astrazione, la fantasia, l’intuizione, la sensibilità, la poesia, pur agendo in un ambito spesso ai limiti dell’informale, depurato, tuttavia, da eccessivi cerebralismi.
I Percorsi, sono traiettorie cromatiche esplosive, vaganti su fondi neri, rossi, blu. Se il sogno di Gilioli era quello di scolpire il cielo, quello di GOST consiste nel colorare, nel dar luce all’oscurità della notte, solcandola con fuochi d’artificio curvilinei, fluttuanti nel nero che ci sovrasta. Ecco allora che il “dripping” riscopre la sua forma primigenia di scrittura, di segno colato sull’immensa pagina celeste, di firma (e dunque di appropriazione simbolica da parte dell’artista) apposta su una particella di Infinito rappresentata dalla tela, vera e propria ara sacrificale su cui immolare ogni settorialità, una Babele al contrario dove si parla lo stesso linguaggio: quello universale dell’Arte. Talvolta i “percorsi” diventano “contaminazioni”, allorchè lo sfondo si arricchisce di geometrie cromatiche o di reticoli e diagonali inseriti in trasparenza, quasi a riportarci al parallelismo della ricerca iniziale. Effetti “optical” rendono più intrigante il gioco di linee e colori, consentendo al fare artistico di Gost infinite varianti espressive.
Ma quando l’immagine “gostiana” appare nitida e delineata, avviata appunto alla consumazione delle infinite variabili concessegli dalla sua arte, ecco l’ennesimo cambiamento, l’ulteriore svolta insofferente, lo schiaffo alle aspettative.
Proverbiale la sua capacità di rimanere originale pur nell’apparente ripetitività del soggetto.
Ma si sa, Gost non può resistere alla tentazione di rimettersi in gioco, di ripartire daccapo con nuove linee e nuovi o ritrovati abbinamenti di colore.
Carlo Micheli